Le spiegazioni che muovono le persone a donare possono essere le più differenti, da chi utilizza la donazione per assicurare la propria supremazia, per produrre forme di dipendenza o addirittura per reprimere il donatario; talvolta, anche se contraria e incompatibile con il pensiero funzionale, la donazione può essere utilizzata per il perseguimento di secondi fini.
Quindi esistono donazioni e donazioni, ma c’è un donare che è un po’ più lontano dai secondi fini, diverso da quello concepito dal pensiero strumentale e più vicino a un’opportunità, quella di contribuire alla realizzazione del bene comune.
I motivi utilitaristici si uniscono alle esigenze ideali, pensiamo ad esempio alle donazioni fatte a benevolenza della ricerca scientifica in campo medico dove, vicino al sentimento di fare una cosa giusta, vi è anche l’aspettativa che, un giorno, potremmo essere noi o i nostri cari i beneficiari dei miglioramenti e avanzamenti che verranno fatti grazie a queste offerte.
C’è poi chi vive la regalia come un’occasione per confermare i propri valori, come una modalità per raccontare la gratitudine per ciò che ha ricevuto o comunque compiere un dovere morale che deriva dalle proprie credenze religiose o dal senso civico, se non perfino dal senso di colpa che nasce naturalmente nel vedere la sofferenza quando invece si vive nell’eccesso.
Non è un caso che siano molteplici le organizzazioni che fanno proprio leva su tale coscienza di colpa per sollecitare le donazioni. Il dono, principalmente in una società in cui la democrazia simbolica è in evidente crisi, può divenire un’efficace modalità per sostenere il proprio essere cittadino. Attraverso il dono è possibile partecipare realmente alla definizione e alla realizzazione del bene comune. Inoltre, grazie ai benefici fiscali noti, è possibile indirizzare, seppure in modo marginale, la spese pubblica.
Ciò di cui dobbiamo essere coscienti è che il dono può appagare alcuni dei bisogni oggi più diffusi e a cui la nostra collettività non sembra essere in grado di dare riscontri adatti: il bisogno di senso, di attinenza, di relazioni vere perché non strumentali, di essere identificati nella propria dignità, di vivere emozioni originali. Si tratta di bisogni che difficilmente possono essere appagate con l’acquisto di beni e servizi, ma che, grazie al dono, possono essere soddisfatte generando quella felicità che la società del benessere non sembra in grado di conquistare.
Concludendo, il dono ci concede di testimoniare tangibilmente la nostra umanità in quanto è un atto libero, forse l’unica azione veramente libera che possiamo sperimentare, non solo perché non ci può essere obbligato, ma perché custodisce in sé quella profondità etica, quella capacità di fare ciò che abbiamo individuato come buono, bello e giusto, che è la sola che realmente ci caratterizza come esseri umani. Tramite l’offerta, noi revochiamo sulla dignità dell’altro, riconoscendolo come fine del nostro operare e non mezzo, come invece avviene negli scambi commerciali, dato che il fine del dono è il rapporto che si crea e non la cosa barattata. Promuovere il dono esprime il creare una società migliore, perché veramente umana.